La legge 205 non si è limitata ad arricchire l’istruzione probatoria concernente le controversie rientranti nella giurisdizione esclusiva, ma ora anche nel giudizio di legittimità il G.A. può avvalersi della consulenza tecnica d’ufficio, grazie alla modifica estensiva dell’art 44, comma  I del R.D. n. 1054 del 1924, operata dall’art. 16 della legge 205. Detta aggiunta può sembrare di grande momento, e potrebbe pensarsi ad una incisiva modifica della giurisdizione ordinaria di legittimità, essendo, in tal modo, ormai consentito al giudice un accesso diretto al fatto, diversamente da quanto avveniva in precedenza, mediante la verificazione. Premesso che può sembrare contraddittoria l’innovazione del legislatore quando ammette la C.T.U. e non pure gli altri mezzi di prova, come ha fatto per la giurisdizione esclusiva, si può dire che, ove bene intesa, la novella non sconvolge la sostanza del giudicare nel giudizio di sola legittimità, ma si limita a mettere a disposizione del giudice uno strumento – che non è, in senso stretto, mezzo di prova, ma presenta anche i caratteri di un criterio di eterointegrazione della conoscenza del giudice, estendendola a cognizioni tecniche o discipline specialistiche che, ordinariamente, non rientrano nel suo bagaglio conoscitivo atto a meglio verificare l’istruzione dell’affare compiuta dalla P.A. Ora, ciò rientra pacificamente nell’ambito della giurisdizione di legittimità, anzi ne costituisce spesso il cuore. Sotto altro profilo si osserva che la C.T.U. può essere riguardata come un perfezionamento della verificazione (specialmente se considerata nel modo in cui già da tempo quest’ultima veniva utilizzata, vale a dire mediante incarico ad un’amministrazione diversa da quella parte in causa), per di più con la garanzia della terzietà dell’organo incaricato dal giudice. In tal senso, la stessa non costituisce una novità assoluta per il processo amministrativo, se non con riferimento alla sola giurisdizione generale di legittimità. Infatti, già l’art. 16 della legge 28 gennaio 1977 n. 10 (c.d. “legge Bucalossi”) aveva previsto, testualmente, nelle controversie concernenti l’edilizia (quanto ai provvedimenti di rilascio o diniego di concessione edilizia; di determinazione e liquidazione del contributo di urbanizzazione e del costo di costruzione, nonché delle sanzioni) l’effettuazione di “perizie” di cui all’art. 27 del R.D. 17 agosto 1907 n. 64243. Ora detta norma risulta abrogata dal nuovo Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (art. 136), ma soltanto perché le disposizioni recate in tema di “tutela giurisdizionale” (come suona la sua rubrica) in materia, è da considerare assorbita sia dalle previgenti norme in materia di giurisdizione, sia, a maggior ragione, dalle novelle introdotte in ordine alla giurisdizione dalla menzionata legge 205 del 2000, che ha introdotto, tra l’altro, la C.T.U. anche nella giurisdizione di legittimità. Come detto, le norme che dispongono l’esperibilità della consulenza tecnica d’ufficio nel giudizio amministrativo (di giurisdizione esclusiva) fanno rinvio, per il tramite dell’art. 27, alle disposizioni che detta al riguardo il codice di procedura civile. Orbene, si tratta ora di stabilire se – dati i precipui caratteri del processo amministrativo, del resto sottolineati dall’art. 35 del d.lgs. n. 80/98 – tali disposizioni debbano ricevere integrale applicazione nel processo amministrativo, ovvero se sia consentito applicare tali norme con qualche diversità rispetto al processo civile. Intanto, posto che nessuna prescrizione o limitazione compare nelle norme del codice di rito in ordine ai requisiti soggettivi o alla categoria professionale di appartenenza o ad altri caratteri dei soggetti suscettibili di essere nominati consulenti del giudice, tale dato non può non valere anche nel contesto del processo amministrativo. Ciò premesso, il primo dato che occorre avere presente è la previsione di appositi albi dei consulenti tecnici presso i Tribunali (art. 61 cod. proc. civ.; artt. 13 e 146 disp. att. cod. proc. civ), cui il giudice può attingere, ordinariamente, per l’individuazione dei consulenti cui conferire l’incarico (tranne che per esigenze particolari, in cui la scelta è libera). Tali albi, distinti per categorie (ovvero secondo la qualificazione tecnica degli esperti: art. 15), sono predisposti, come ha chiarito la Cassazione, non per limitare i poteri del giudice, bensì per facilitarli (cfr. Cass., 17 ottobre 1974 n. 2908). Orbene, presso i giudici amministrativi si è instaurata una prassi – quanto alla nomina del C.T.U. – che prescinde non solo dall’utilizzazione degli albi istituiti presso i Tribunali civili e penali (il che si spiega in ragione dell’appartenenza a un ordine giurisdizionale e magistratuale diverso), ma anche dalla formale creazione di albi di consulenti tecnici presso le sedi giurisdizionali amministrative, per la qual cosa mancano, comunque, disposizioni. In concreto, accade, prevalentemente, che il consulente tecnico venga individuato dal G.A. facendo riferimento a istituti od organismi specializzati, ovvero a una sede universitaria, con riguardo a una determinata facoltà. In simili casi, nemmeno nell’ordinanza, si nomina direttamente il professionista-docente incaricato: la formula spesso usata consiste nella designazione, quale perito, del preside di una determinata facoltà dell’Università prescelta, con l’avvertenza che detto preside potrà egli stesso assolvere all’incarico, oppure individuare un docente della facoltà presieduta, da egli ritenuto particolarmente qualificato e adatto a svolgere i compiti assegnatigli dal giudice. D’altra parte, poiché non in ogni circostanza appare possibile, utile o necessario ricorrere ad una professionalità da ricercare nell’ambito universitario o di altra istituzione pubblica, sempre più frequentemente si è andati attingendo a figure diverse, preferibilmente costituite da funzionari tecnici anche indirettamente incardinati in strutture o istituzioni pubbliche specializzate o tecniche, ma spesso, ormai, anche da liberi professionisti privati (ancora una volta, in forza del richiamato art. 31 del regolamento approvato con R.D. n. 642 del 1907, in qualche modo inseriti in un’orbita pubblicistica, ovvero che abbiano svolto incarichi di amministratore pubblico, et similia) (cfr. T.A.R. Veneto, sez. I, 8 aprile 2004, ord. n. 1791). Incidentalmente, si osserva che il fatto di non attingere il consulente da un albo, rende inapplicabili le disposizioni disciplinari e le relative sanzioni di cui agli artt. 19 – 22 del codice di procedura civile, come pure all’art. 23, in tema di vigilanza sulla equa ripartizione degli incarichi. Il conferimento dell’incarico di CTU,  avviene ordinariamente con ordinanza, che nella maggior parte dei casi è collegiale (dati i permanenti caratteri del processo amministrativo) oppure monocratica, del presidente o del consigliere da egli all’uopo delegato (a seguito di ulteriori modifiche a detto processo rinvenienti dalla più volte menzionata legge 205 del 2000). Per giunta, l’ordinanza collegiale può essere emessa tanto a seguito di udienza fissata per la trattazione nel merito della causa (allorquando, evidentemente, questa non venga ritenuta matura per la decisione), quanto nella fase cautelare, in seno alla camera di consiglio fissata per la trattazione dell’incidente cautelare. La disposizione di assumere una C.T.U., come ogni altro mezzo istruttorio o probatorio, può avvenire tanto con ordinanza collegiale – emessa nell’udienza di trattazione nel merito della causa, oppure (meno frequentemente) nell’udienza camerale concernente la fase cautelare – quanto con ordinanza monocratica emessa fuori udienza dal presidente o dal magistrato da lui delegato, che potrebbe anche definirsi “consigliere istruttore”. Detta ordinanza non è reclamabile al collegio, non soltanto per la ragione che la norma non contiene una simile previsione, ma anche perché tale è l’orientamento della Suprema Corte anche nel giudizio civile, che esclude l’impugnazione (in motivazione), quando emessa dal giudice istruttore ai sensi dell’art. 178 cod. proc. civ.(cfr. Cass., S.U., 18 settembre 1970 n. 1559). Quanto al contenuto di detta ordinanza istruttoria, con essa va fissata l’ulteriore udienza di trattazione, ad assunzione avvenuta dell’incombente istruttorio. Ma, ancora prima, la stessa contiene: la nomina del consulente del giudice, individuandolo nominativamente, ovvero indicando i modi per individuarlo; il termine lui assegnato per l’effettuazione della C.T.U., con indicazione di eventuali criteri e modalità, anche di tempo di luogo, ecc.; la specificazione dei quesiti rivolti al C.T.U., cui questi dovrà dare risposta riferendone nella relazione che ha l’obbligo di depositare; il giorno della comparizione davanti al magistrato estensore dell’ordinanza (in quanto giudice monocratico o in quanto componente relatore del collegio giudicante), per prestare giuramento e ricevere chiarimenti sui quesiti; eventuali disposizioni circa il compenso (per lo più disponendosi del versamento di un acconto a carico della parte che ha richiesto la C.T.U., o, in mancanza, del ricorrente; la precisazione dell’obbligo di avvertire le parti circa il giorno e il luogo dell’esperimento, con la possibilità, per costoro, di nominare consulenti di parte e di presenziare alle operazioni necessarie, personalmente ovvero per il tramite del consulente di parte, e di formulare osservazioni; la facoltà del consulente tecnico di comparire all’udienza di trattazione (onde fornire anche in tale sede, spiegazioni, in contraddittorio con i consulenti di parte); ecc. Premesso che, talora, nell’ordinanza si dispone che la specificazione dei quesiti avverrà nel giorno della comparizione per il giuramento (non esiste una prassi univoca al riguardo), deve anche aggiungersi che è talora accaduto che qualche ordinanza del genere nulla prevedesse in materia di giuramento, compiendosi, così, la C.T.U. senza che il consulente incaricato abbia reso il giuramento medesimo. Peraltro, come ha chiarito la Corte di Cassazione, la mancanza del giuramento non comporta la nullità della C.T.U., non avendo carattere essenziale (cfr. Cass. 29 novembre 1974 n. 3907). Si ritiene che mentre le disposizioni relative all’astensione e alla ricusazione del consulente tecnico d’ufficio (cfr. art. 51 cod. proc. civ.), debbono ritenersi applicabili anche al giudizio amministrativo (in considerazione della sua ratio), dati i meccanismi e i criteri di nomina in uso presso il G.A. (i quali consentono di pervenire a individuare un soggetto disponibile a svolgere l’incarico), si può dire che non può, ordinariamente, verificarsi l’eventualità della non accettazione della nomina da parte del CTU designato.
Dopo la discussione il collegio –a meno che non ritenga necessario chiarire altri punti, se del caso disponendo un supplemento di perizia o anche una nuova C.T.U. (eventualmente su istanza delle parti) assumerà la decisione. In merito alla precipua fase della decisione, ci si chiede se il collegio giudicante possa discostarsi, in tutto o in parte, dalle conclusioni del C.T.U. L’interrogativo riguarda non soltanto il giudizio amministrativo, ma, come è ben noto, ogni ambito processuale, ed attiene al principio, che risponde quasi ad un luogo comune, del libero convincimento del giudice. Orbene, proprio stando al concetto racchiuso nell’espressione or ora riportata, quanto meno in astratto e in pura teoria, il giudice non può ritenersi tout court vincolato alle conclusioni del suo consulente: se queste – pur sorrette dall’analisi svolta dal perito oltre che da eventuali argomentazioni esplicative – non appaiono al giudice pienamente convincenti, e non sono pertanto da lui condivise, egli potrà regolarsi o disponendo un’altra consulenza, ovvero ricorrendo alla sua scienza e coscienza (ivi comprese le massime dell’esperienza, il notorio, e così via), e risolvere la causa sulla scorta del noto brocardo secondo il quale il giudice è il vero perito, vale a dire peritus peritorum. Alla stessa maniera, del resto, in qualche modo, si comporta il giudice allorquando decide di respingere la domanda di disporre C.T.U. formulata da taluna delle parti, ritenendola superflua. E’ chiaro che in entrambi i casi egli dovrà dare atto, in motivazione, delle ragioni che lo inducono a disattendere la domanda, ovvero a discostarsi dalle conclusioni rappresentate dal consulente tecnico. La giurisprudenza insiste sull’obbligo di adeguata motivazione, di cui il giudice deve dare conto per quanto possibile. Per quanto concerne la determinazione del compenso spettante al perito, questo – a parte l’obbligo di versare un acconto, stabilito nel provvedimento di nomina – viene quantificato e liquidato con la sentenza, dietro presentazione di apposita parcella da parte del tecnico che ha prestato la sua opera. La somma richiesta potrebbe, peraltro, essere ridotta dal giudice in determinate circostanze (cfr. TAR Veneto, sez. II, 23 marzo 2005 n. 1529).

C.M. BARONE, Consulente tecnico – I – Dir. proc. civile, in Enc. Giur.Treccani, ad vocem, pag.2.

CHIZZINI, Il potere istruttorio del giudice amministrativo nel quadro delle recenti riforme delineate dal d.Lgs. 80/98 e dalla L. 205/2000, in Dir. proc. amm., 4/2001, pag.897, e MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, II, XIII^ ed.,Torino 2000, pag. 187 (richiamato dal primo).
C.M. BARONE, cit., in fine (pag. 5).