La norma sull’autotutela licenziata il 24 gennaio dalla Camera in via definitiva, va ad ampliare i diritti del cittadino nel momento in cui si trova vittima di una rapina; sia che essa avvenga nel suo privato domicilio, sia che l’aggressione si verifichi nel proprio luogo di lavoro.
L’art. 52 cod. pen., rubricato “Difesa legittima” nella versione originaria, stabiliva che:” Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.
Orbene, il Legislatore, ridisegna, in parte, il principio della legittima difesa attraverso l’aggiunta di alcuni commi all’articolo 52 del codice penale. Il ddl testè approvato, prevede infatti che:”All’articolo 52 del codice penale sono aggiunti i seguenti commi:
Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a) la propria o altrui incolumità;
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.
La ratio alla base del provvedimento appare evidente: viene infatti stabilito che anche nel caso del reato di violazione di domicilio (art. 614 del c.p.) sussiste il rapporto di proporzione nella reazione a un’offesa ingiusta.
Tale reazione, peraltro, può avvenire anche mediante l’uso di un’arma legittimamente detenuta.
La novità forse più rilevante riguarda però la possibilità di difendere a mano armata non soltanto la propria o l’ altrui incolumità, ma anche i beni propri o di terzi se il rapinatore non desiste dal suo intento. 
Come è stato sottolineato, la nuova normativa non assolve automaticamente il cittadino che difenda la propria casa piuttosto che il proprio negozio o studio professionale con l’uso delle armi, ma stabilisce che se la reazione è proporzionata all’offesa subita, non esistono i presupposti per perseguire penalmente chi abbia ferito o ucciso l’aggressore.
L’ approvazione del ddl in questione ha riaperto, sia nel mondo politico che nella pubblica opinione, la discussione, peraltro mai sopita, sull’ istituto della legittima difesa e sulla correlata questione della  legislazione in tema di porto d’armi.
Il giurista, tuttavia, nella valutazione di un provvedimento legislativo, non può e non deve farsi condizionare né da partigiane interpretazioni politiche, né da facili e sterili sociologismi  nei quali indulgono spesso i mass media.
Parafrasando Carl Schmitt, possiamo dire di essere in grado di penetrare la nebbia dei nomi e delle parole con le quali lavora la macchina psicotecnica della suggestione di massa.
Le questioni della legittima difesa, della detenzione e dell’uso legittimo delle armi sono correlate al più ampio problema della sicurezza personale dei cittadini; da qui alla questione della funzione dello Stato, si converrà che il passo è breve.
La domanda allora è: qual’è la funzione dello Stato?
Thomas Hobbes,  uno dei massimi teorici del concetto di sovranità,  partendo da una rappresentazione quanto mai realistica dell’essere umano, teso al conseguimento del potere, inteso come autoconservazione, formula l’ipotesi logica dello stato di natura, la cui necessaria  ed inevitabile conseguenza non può che essere la guerra di tutti contro tutti. Nello stato di natura non v’è alcuna autorità che abbia il potere di costringere alcuno, al rispetto delle massime di comportamento, espressione della “legge naturale”: cercare la pace, rendersi utili agli altri ecc; tuttavia colui che, per scelta personale, rispettasse tali massime, verrebbe rapidamente sopraffatto dai prepotenti e dai violenti.
Occorre quindi, per Hobbes, che gli uomini si sottomettano ad un potere che sia in grado di costringerli a rispettare le norme. Attraverso  un patto, i contraenti rinunciano al diritto illimitato originario, in favore di un altro uomo o di un gruppo di uomini: nasce il “Leviatano”.
La funzione dello Stato, o meglio, il suo compito primario è quindi quello di garantire la sicurezza dei cittadini.
Ora, è di tutta evidenza che uno stato democratico quale il nostro, non potrà mai assicurare in modo assoluto la sicurezza dei suoi cittadini, pena la sua trasformazione in uno stato di polizia.
Rebus sic stantibus, il Legislatore, consapevole che le forze di polizia non sono oggettivamente in grado di impedire, sempre e comunque, la commissione di crimini a danno di cittadini inermi, ha inteso, quanto meno, garantire ad ogni individuo la possibilità di difendersi da solo attraverso il ricorso all’uso legittimo delle armi.
Tale possibilità veniva infatti sostanzialmente negata, sia attraverso una configurazione eccessivamente limitata del concetto di legittima difesa, sia attraverso una legislazione molto restrittiva in tema di porto d’armi.
In realtà, va sottolineato che l’art. 52 cod. pen., nella sua previgente formulazione non era affatto così drastico nel limitare la configurabilità di una difesa legittima e avrebbe consentito interpretazioni ragionevoli; tuttavia, la Corte di Cassazione (cfr. ex multis, Cass., sez. I, 24 settembre 1997) ha sempre privilegiato una interpretazione assolutamente restrittiva del principio di legittima difesa, spesso perdendo di vista, per eccesso di cavillosità, non tanto e non solo la funzione deterrente del principio de quo, ma soprattutto il senso della realtà.
In effetti, le ragioni addotte per giustificare una interpretazione restrittiva del principio della difesa legittima, si riducono sostanzialmente ad una: il cittadino armato-si afferma- potrebbe “abusare” del suo diritto a difendersi!
Vorrei a questo punto riportare, quanto scritto in relazione a tale questione da Cesare Beccaria: “Una sorgente di errori e d’ingiustizie sono le false idee d’utilità che si formano i legislatori. Falsa idea d’utilità è quella che antepone gl’inconvenienti particolari all’inconveniente generale, quella che comanda ai sentimenti in vece di eccitargli, che dice alla logica: servi.
Falsa idea d’utilità è quella che sacrifica mille vantaggi reali per un inconveniente o immaginario o di poca conseguenza, che toglierebbe agli uomini il fuoco perché incendia e l’acqua perché annega, che non ripara ai mali che col distruggere.
Le leggi che proibiscono di portar le armi sono leggi di tal natura; esse non disarmano che i non inclinati  né determinati ai delitti, mentre coloro che hanno il coraggio di poter violare le leggi più sacre della umanità e le più importanti del codice, come rispetteranno le minori e le puramente arbitrarie, e delle quali tanto facili ed impuni debbon essere le contravvenzioni, e l’esecuzione esatta delle quali toglie la libertà personale, carissima all’uomo, carissima all’illuminato legislatore, e sottopone gl’innocenti a tutte le vessazioni dovute ai rei? Queste peggiorano la condizione degli assaliti, migliorando quella degli assalitori, non scemano gli omicidii, ma gli accrescono, perché è maggiore la confidenza nell’assalire i disarmati che gli armati. Queste si chiaman leggi non prevenitrici ma paurose dei delitti, che nascono dalla tumultuosa impressione di alcuni fatti particolari, non dalla ragionata meditazione degl’inconvenienti ed avantaggi di un decreto universale”.
Queste riflessioni  potranno essere condivise o meno; ma non si potrà negare che sono di una logica, come dire, …disarmante.

Avv. Alfonso Emiliano Buonaiuto