La convinzione illuminista che il concetto di autorità sia l’opposto dei concetti di ragione e libertà ha avuto grande fortuna, costituendo per secoli una delle idee base del pensiero politico e filosofico dell’Occidente. Michel Foucault peraltro, riteneva che l’idea della contrapposizione potere – verità, fosse molto più antica e la faceva risalire alla cacciata dei tiranni avvenuta in Grecia nel V secolo a.c.
“L’Edipo Re” di Sofocle rappresenterebbe il momento iniziale della dissociazione tra sapere e potere. Edipo, impersonificazione del τύραννοσ, non è soltanto colui che detiene il massimo potere ma anche colui che ha la massima sapienza; ed è proprio attraverso la sua conoscenza superiore che il tiranno acquista il potere. E’ Edipo a risolvere infatti l’enigma della sfinge e a salvare Atene in quanto egli è σόρόσ, saggio.
Ma in che consiste questo sapere di Edipo? Diciamo che il sapere dei re e dei governanti tra la fine del II e l’inizio del I millennio a.c., è strettamente legato alla magia e alla religione. E’ un sapere diverso da quello degli uomini normali in quanto è essenzialmente autocritico, solitario, che non ha bisogno di apporti o suggerimenti di altre persone. Edipo infatti sottolinea continuamente: ”Io indagai e siccome nessuno fu capace di darmi informazioni, aprii occhi e orecchi; io vidi”. Sofocle usa il verbo οιδα che significa allo stesso tempo sapere e vedere.
Οιδίπουσ è colui che è capace di vedere e sapere. Il potere di Edipo verrà abbattuto da un diverso tipo di conoscenza, quella degli schiavi, fondato sulla testimonianza, cioè la memoria empirica di ciò che fu visto. La colpa di Edipo viene ricostruita sulla base di diverse testimonianze; prove di una verità già annunziata dagli Dei per bocca di Tiresia, ma che ora viene espressa non più come profezia ma come dato empiricamente verificabile. “vox populi – vox dei”. Così, il passaggio dalla verità sovrumana di Edipo, alla verità umana del popolo sancisce il passaggio dalla tirannia alla democrazia. Si può ben avanzare l’ipotesi che la cacciata da Atene del tiranno Ippia nel 510 a.c. e la creazione della democrazia siano dipese anche dalla coeva invenzione del mercato dei libri: in altre parole la diffusione del sapere provoca la diffusione del potere. E ciò confuta il mito che la verità non appartiene mai al potere politico, che il potere politico è cieco, che il vero sapere è quello che si possiede quando si è in contatto con gli Dei o quando ricordiamo le cose, quando guardiamo verso il sole eterno o apriamo gli occhi per osservare ciò che è successo. Nietzsche, ne “La gaia scienza”, riprende un passo di Spinoza nel quale questi oppone “intelligere” (comprendere), a “ridere”, “ludere” e “detestare”. Spinoza sosteneva che se si vuole comprendere le cose, nella propria natura e nella loro essenza e, pertanto, nella loro verità, è necessario astenersi dal ridere di esse, dal deplorarle o dal detestarle. Solo quando queste passioni si sono placate è possibile la comprensione.
Nietzsche afferma che non solo ciò non è vero, ma che è vero proprio il contrario! Noi capiamo solo perché l’essenza della conoscenza è il gioco e la lotta dei tre istinti: Ridere, deplorare, detestare. Dietro la conoscenza, c’è la volontà oscura non di attrarre l’oggetto a sé, ma al contrario, di allontanarsi da esso e distruggerlo. Secondo Nietzsche, il motivo per il quale questi tre impulsi arrivano a produrre la conoscenza non è nella loro pacificazione ma perché lottano tra loro, si combattono. E’ perché sono in stato di guerra, in una stabilità momentanea di questo stato di guerra, che giungono ad una specie di stato, di corte nella quale infine la conoscenza apparirà come la scintilla che si sviluppa dall’urto di due spade.
Nella conoscenza c’è quindi un rapporto di distanza e dominio; in altre parole: Potere.